Fare team building significa anche costruire rispetto. In una squadra che lavora bene ogni persona riconosce l’importanza del lavoro di ogni altra. E lo rispetta.
Lo scrivevo nel 2016 e lo ripeto, anzi, lo urlo, nel 2021, dopo un anno è mezzo di pandemia che ci ha allontanato, ci ha tolto caffè, chiacchiere in ufficio e capacità di provare empatia.
Oggi più che mai sono convinta che dobbiamo ricordarci di rispettare il lavoro di chi collabora con noi. Ma per farlo è fondamentale conoscerlo, il lavoro degli altri; sapere quanta esperienza e fatica è costato e comprenderne le meccaniche.
Non è che tutti possono o devono saper fare tutto. Anzi, nessuno più di me è convinto che non si possano saper fare bene troppe cose diverse: le specializzazioni sono importanti. Se sei una bravissima web writer non sai per forza sviluppare un sito (solo a mia nonna concedo questa generalizzazione).
Chi è molto specializzato, però, tende a pensare che il suo mestiere sia il più difficile, complesso e complicato al mondo e che gli altri facciano sempre meno fatica.
Sono anni ormai che più che web writer, sono diventata project manager, e sono anni che sperimento sulla mia pelle le difficoltà della compartimentazione. Normalmente si tende a ovviare al problema facendo riunioni tutti insieme, condividendo... Ma se queste non sono pelle a pelle, occhi negli occhi e con la possibilità di far vedere sorrisi ed espressioni, non basta.
Poi, pochi giorni fa, ho avuto un’illuminazione.
Per puro caso mi in questi giorni mi sta capitando di aiutare alcuni amici a gestire le proprie pagine LinkedIn: nel mio piccolo mi sto scoprendo social media manager a ore. E non avete idea della fatica e dell’ansia. Non sono mai certa di niente, le risposte sono lente e le decisioni da prendere sempre incerte e sofferte.
E ancora una volta ho capito davvero il lavoro delle mie colleghe e l’esperienza che hanno accumulato per non viverlo con tutte queste ansie (spero per loro).
E da qui l’illuminazione. Credo che una web agency che vuole lavorare davvero bene debba far provare a ognuno un po’ del lavoro di un altro. Per poco ma per davvero: non come un esercizio fine a se stesso.
I project manager, poi, dovrebbero farlo più di tutti.
E voi? Cosa ne pensate? Avete mai provato a fare il lavoro di qualcun altro?
[Questo articolo era stato scritto nel 2016. Durante i faticosi giorni del primo lockdown però ho ripensato molto alle mie parole di allora. Adesso che la risoluzione del "problema Covid" non sembra ancora vicinissima, ho voluto rivederlo e aggiornarlo sperando che possa tornare utile.]